Giulia Perin, responsabile dell’orto del Museo del Tessile di Chieri, segue i processi di tintura del tessuto realizzato dagli artigiani migranti per l’opera d’arte che sarà creata dall’artista Ettore Favini per il progetto Au Revoir. Laureata in antropologia, Giulia si è appassionata al tema della tintura tessile con pigmenti naturali quattro anni fa, durante un master in Indonesia, dove ha appreso e sperimentato le possibilità delle tinture vegetali attraverso lo studio delle piante e delle coltivazioni locali. Durante l’esperienza in Asia, Giulia ha studiato anche l’arte del batik che utilizza per la realizzazione della sua collezione di abiti, foulard e vestaglie.
“Qui al museo coltiviamo una serie di piante tintorie e piante tessili legate alla tradizione e alla cultura del territorio tra cui il guado, utilizzato nel chierese fino a circa metà del 1800 – racconta Giulia -. Sono stata invitata a partecipare al progetto di Connecting Cultures per la realizzazione della tintura di alcuni filati con il colore indaco. Non abbiamo utilizzato il guado ma la Indigofera Suffruticosa, una pianta indonesiana della specie dell’indigo. La differenza tra indigo asiatico e guado europeo è nell’intensità di colore, molto più forte nel primo caso: abbiamo quindi eseguito prove di tintura per avvicinarci il più possibile alla tonalità di azzurro più prossima a quella del guado”.
- Il guado
- Indigofera suffruticosa
“Avevo preparato il colore in precedenza, unendo la polvere blu con il fruttosio e la calce, ingredienti che, portati alla fermentazione con una certa temperatura, producono un liquido verde. La colorazione blu si ottiene attraverso la reazione chimica tra il tessuto e il pigmento che vi si fissa fortemente, conferendo all’indaco la particolare dote di resistenza sul tessuto nel lungo periodo. E’ stata proprio per l’intensità del blu e per la sua resistenza che l’indigo, proveniente dall’Asia e dal Sudamerica, ha soppiantato nel tempo il guado”.
“Durante la dimostrazione didattica, le artigiane egiziane e marocchine intervenute al laboratorio ci hanno raccontato che anche nei loro paesi l’estrazione del pigmento avviene pigiando le foglie con l’acqua. E che la tintura dei tessuti è stata ed è problematica ovunque. Il chierese un tempo era tutto coltivato a guado ma i tintori non hanno più potuto operare nel centro dell’abitato a causa del forte odore provocato dalla fermentazione e per i liquidi generati che non hanno più potuto essere gettati direttamente nel fiume. Problemi analoghi sono sorti in Marocco dove ci sono state petizioni di cittadini per spostare le lavorazioni di tintura lontane dai villaggi abitati. Si è così creato un momento di scambio e confronto tra le nostre culture legato a un tema che non è certo comune e che ci ha portato concretamente nel cuore del progetto di Au Revoir”.
Ph. Max Monnecchi
Au Revoir è un progetto realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (6. Edizione, 2019), programma di promozione di arte contemporanea italiana nel mondo della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.