Il 10 dicembre scorso Connecting Cultures ha organizzato un incontro a Milano intitolato Say something to Europe sul tema della perdurante crisi dei rifugiati siriani detenuti nei campi profughi nelle isole greche di Lesbos, Chios, Kos, Samos e Leros a un tiro di schioppo dalle coste turche.
Il tema della serata era il lavoro di curatori quali Filippo Maggia, Daniele Ferrero e Teresa Serra, fotografi e artisti come Francesco Radino e molti altri, testimoni di drammatiche vicende umane troppo spesso ignorate.
Artisti, fotografi contemporanei e videomaker che negli ultimi vent’anni hanno continuato a documentare gli sviluppi geopolitici che hanno cambiato l’identità del Mare Nostrum letteralmente sotto i nostri occhi. Un’identità alla quale Connecting Cultures ha dedicato e dedica una profonda ricerca e che quest’anno ha portato alla realizzazione di Au Revoir, il progetto di arte partecipata di Ettore Favini vincitore dell’Italian Council 2019 che, attraverso un’esplorazione spaziale e temporale lungo il bacino del Mediterraneo attraverso le rotte tracciate dalle trame dei tessuti, incoraggia a ripensare la storia del mondo, vale a dire la nostra memoria collettiva.
In questi giorni con la riapertura del confine da parte della Turchia la situazione sulle isole greche è diventata sempre più disperata. Le condizioni dei profughi oggi non sono in alcun modo tollerabili. Ma anche politicamente la posta in gioco oggi per l’Europa, per quanto drammatica sia la situazione sulle isole greche, non è soltanto quella di una ennesima crisi umanitaria. L’Europa oggi non può non ripensare il proprio ruolo nei confronti del Sud dell’Europa e dei Paesi che affacciano sul Mediterraneo.
Cos’è il Mediterraneo oggi? Come possiamo difendere il diritto dei popoli che affacciano su questo mare  a conservare un’identità che non sia quella di esuli o rifugiati? E come possiamo evitare che il Mediterraneo da vitale luogo di scambi tra le culture si affossi  a diventare tomba di molti che fuggono da guerre e carestie?
La Turchia ha quasi 4 milioni di rifugiati, 3.7 milioni sono siriani, una minoranza sono iracheni e afghani. L’esodo forzato di tante persone dai loro Paesi, la trasformazione in rifugiati e diseredati  di intere popolazioni del Nord Africa e del Medioriente  utilizzate come pedine, confinate in una sorta di prigionia imposta loro tutto intorno ai bordi del Mediterraneo ci deve far riflettere. C’è l’urgente bisogno di un cambiamento di rotta, di giungere a politiche che non siano queste.
Come ha scritto Alessandro Leogrande soltanto qualche anno fa, il Mediterraneo è diventato una frontiera. “Le frontiere cambiano, non rimangono mai fisse. Si allarga l’Europa e mutano i punti d’ingresso. Scoppiano guerre, cadono dittature, esplodono intere aree del mondo e si aprono nuovi varchi. I varchi a loro volta creano un mondo, una particolare società di confine che definisce le sue regole e i ruoli al suo interno”.  Questo è vero del muro tra Messico e Stati Uniti, come è vero oggi del Mediterraneo, punteggiato di campi di prigionia, di campi profughi, di muri, filo spinato e di varchi, pochi e pericolosi.
Tutto ciò ha annullato gli elementi di civiltà che i popoli avevano e hanno in comune, gli scambi culturali e commerciali millenari, le affinità e le convivenze tra diversi che la tradizione del Mare di Mezzo eredita dal passato. Il Mediterraneo non può e non deve diventare questo.
I linguaggi delle arti visive spesso possono indicare vie alternative, orizzonti  e politiche possibili che potranno aprire a una visione diversa, laddove si vede soltanto paralisi e disperazione.
(Anna Detheridge, Presidente di Connecting Cultures)
Foto di apertura: Collettivo Azimut, Naeem, 25 years old, Iran, dalla serie ‘Memories of a Camp’, 2017.

Ecco alcune fonti di informazione sui diversi aspetti del vasto tema della Cultura Mediterranea oggi.

Limesonline, La Grecia è di nuovo un soggetto geopolitico. Merito della Turchia

Limesonline, Contro Russia e Turchia: la Grecia come perno degli Usa nel Mediterraneo

Limesonline, Tutti i limiti della solidarietà limitata dell’Europa sui migranti

I video realizzati sulle isole di Lesbos, Chios, Kos, Samos e Leros prodotte da Fondazione Fotografia Modena:

Untitled (12’30’’)
Say something to Europe  composto di frammenti di interviste a decine di migranti e volontari coinvolti nella crisi. 

La mostra fotografica alla Fondazione Modena Arti Visive
Una faccia una razza. Francesco Radino