Dal 2001 l’articolo 118, ultimo comma della nostra Costituzione, afferma il principio di sussidiarietà: ogni cittadino, ogni gruppo (anche informale) di cittadini, ogni associazione di cittadini, per propria autonoma iniziativa, può proporre attività di interesse generale e lo Stato, ai suoi diversi livelli (Stato, Regioni, Città Metropolitane, Comuni, ma anche Enti parco, Circoscrizioni e Scuole eccetera) può, anzi, deve favorirlo.
Dal 2014 più di 220 città italiane hanno adottato il Regolamento per l’Amministrazione Condivisa dei Beni Comuni, attuando tale principio di sussidiarietà attraverso lo strumento di co-progettazione del “patto di collaborazione”. Dal punto di vista della partecipazione alla democrazia locale, questo dispositivo è così innovativo da rappresentare una delle sfide più alte (Ciaffi, 2019), poiché invita a rimettere in gioco le geometrie del potere esistenti – consolidatesi e, spesse volte, calcificatesi nel corso del tempo – e pone allo stesso livello i diversi contraenti del patto. Non è la pubblica amministrazione a concedere qualcosa a qualcuno, ma tutti i soggetti coinvolti si impegnano alla pari a prendersi cura di un bene comune e a co-gestirlo.
La prima intuizione relativa all’amministrazione condivisa (Arena, 1997), risale a più di vent’anni fa, quando ancora non esisteva la retorica della Sharing economy/society/city.
Oggi esistono migliaia di patti di collaborazione attivi in tutta Italia, stipulati per rispondere a problemi diversi e che ci raccontano di contesti eterogenei (Labsus, 2020), ma in ciascuno di essi l’amministrazione è presente. Non esistono esperienze di amministrazione condivisa senza amministrazione: sembra un’affermazione tautologica e invece, come abbiamo imparato in anni di ricerca-azione sul campo, si tratta di un punto fondamentale e imprescindibile, da ribadire ogni volta che viene mossa l’accusa di sfruttamento delle energie dei cittadini attivi da parte dell’amministrazione. Un passaggio che marca inoltre la differenza rispetto a tutte quelle esperienze in cui abitanti e attivisti, lasciati soli dalle istituzioni locali, decidono di auto-organizzarsi, pungolano con azioni provocatorie le amministrazioni sorde ai problemi della città e del territorio, agiscono fuori da una cornice di legalità perché ritengono di dover risvegliare il dibattito pubblico sul senso della democrazia.
PDF del testo completo di Ciaffi e Marra