Le manifestazioni iconoclaste seguite all’uccisione di George Floyd, oltre ad aver ancora una volta portato all’attenzione il perpetrarsi del regime dell’ineguaglianza, hanno anche definito lo spazio d’azione della protesta all’interno di un preciso schema, ovvero quello dello spazio pubblico nel suo rapporto con il monumento. Essendo il monumento visualizzazione diretta di questa protesta, Black Lives Matter porta a riflettere sul tema dell’arte pubblica ed offre, soprattutto al contesto italiano, uno spunto da approfondire con cura nonché un’opportunità di avanzamento teorico. L’attacco alle statue di personaggi noti come schiavisti e suprematisti – Edward Colston a Bristol – nonché la richiesta di rimozione di monumenti simbolo come quelli del Re Leopoldo II, presenti in diverse città belghe – aprono alla domanda chiave su chi partecipi lo spazio pubblico, con quali modalità e con quali prerequisiti. Di conseguenza, conduce a un’ulteriore domanda sulla vera natura dello spazio oggi e del suo racconto collettivo. Questa modalità “fisica” di ridiscussione del monumento ha avuto un’eco globale che ha raggiunto anche l’Italia.
Nel nostro paese la rilettura del passato colonialista è una “conquista” relativamente recente considerato anche l’altrettanto giovane processo di pluralità identitaria che, leggendo i dati ISTAT, sembra iniziare solo nel 1993 quando il saldo migratorio ha rappresentato la sola causa di incremento della popolazione italiana.
Il tema del colonialismo italiano se da una parte dimostra la scoperta delle nuove forme di un “noi collettivo”, dall’altra vive ancora in un difficile equilibrio tra rivendicazione post coloniale ed esaltazione apologetica dei tempi che furono. Il tutto sullo sfondo di una mancanza di conoscenza generale che tende ad appiattire ogni velleità di ricerca scientifica e storica. Se il tema del monumento come memoria collettiva è uscito in maniera così dirompente questo indica un certo Zeitgeist globale ma il rischio di un aggiornamento veloce ne precluderebbe ogni scientificità e correttezza epistemologica.
È possibile oggi un dibattito pubblico che riapra il capitolo del colonialismo in Italia? Forse non ancora. Questo perché al momento sembra mancare un contesto di base capace di motivare le proprie azioni oltre la logica oppositoria dell’alternanza giusto/sbagliato che non tende ad integrare, quanto piuttosto a sopraffare.
Tali azioni, simboliche deposizioni di monumenti pubblici, hanno un senso molto profondo se contestualizzate e se sostenute da una consapevolezza storica che non solo informa la società, ma la modifica, anche attraverso pratiche culturali e azioni artistiche.
Testo pubblicato da Connecting Cultures con licenza (CC BY-NC-SA 4.0).
PDF del testo completo di Emanuele Rinaldo Meschini
PH. David Hammons, House of The Future, Spoleto Festival U.S.A, Charleston, 1991, photo: John McWilliams, courtesy Spoleto Festival USA, Charleston, South Carolina
Emanuele Meschini è critico e storico dell’arte. PhD in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università Ca’Foscari di Venezia. Dal 2014 al 2019 ha collaborato per la rivista Contemporart per la quale ha ideato e curato la rubrica Arte Sociale. Specializzato all’Università di Siena, ha approfondito le tematiche dell’attivismo artistico presso l’Archivio Crispolti di Roma. È stato curatore in residenza presso Node Center e ZK/U a Berlino e ha curato il ciclo di mostre Declinazioni di Comunità presso il Museo Etnografico Luigi Pigorini (Roma, 2015). Ha digitalizzato l’archivio del Centro di Documentazione della Ricerca Artistica Contemporanea Luigi Di Sarro (Roma). Dal 2016 insieme all’artista Luca Resta ha ideato il progetto AUTOPALO con il quale indaga le tecniche e le modalità della partecipazione sociale attraverso progetti legati al mondo del calcio. Con il progetto AUTOPALO è stato selezionato per il premio Creative Living Lab (Trieste 2019). Attualmente scrive sul magazine online Kabul e si occupa di tematiche legate all’urbanistica e ai piani di riqualificazione urbana.