Il lavoro di Ettore Favini affronta spesso tematiche legate all’habitat in cui viviamo, come contesto originario in perenne trasformazione. Nei lavori realizzati negli ultimi anni, l’artista si è concentrato su una ricerca territoriale che mira al recupero dei luoghi, nel tentativo di recuperare alcuni delle loro caratteristiche dell’epoca pre-industriale e pre-moderna.
Nel progetto di scultura pubblica ideato per il quartiere periferico torinese storicamente agricolo di Falchera (Verdecuratoda, 2006), Favini oltre a dedicare un’analisi al contesto territoriale, si é confrontato con i residenti e con i loro ritmi quotidiani e i loro desideri. Questo lavoro tenta di compiere una rilettura storica della zona, evidenziando il legame esistente tra il suo passato, la sua vita presente e i possibili sviluppi nel futuro. Nel suo intervento, ha trasformato un giardino comune in un frutteto pubblico di alberi autoctoni della regione (peri, meli, susini) che, per le loro caratteristiche, vivono “selvaggi” senza bisogno di troppe cure.
Con una successiva installazione intitolata Private View (2007), Favini interviene nei giardini temporanei del Lower East Side, minacciati dall’avanzare delle corporazioni immobiliari. L’intento principale dell’artista è quello di rappresentare “un personale sguardo di un’immagine in divenire”, per evidenziare come, quanto è intorno a noi svanisca di continuo, a causa della fragilità e dell’instabilità del presente. L’artista inserisce nei giardini prescelti alcune sedute che il fruitore può spostare a proprio piacimento per creare la sua private view, registrando con la mente, come spiega l’artista, il ricordo di un attimo piacevole, di un verde che forse domani potrebbe non esserci più.” Attraverso un intervento minimale Favini offre ad ognuno la possibilità di vivere il verde pubblico, secondo la propria sensibilità.
Dal 2007 Favini si sta dedicando alla raccolta di “messaggi verdi”, che sono spesso utilizzati dalle aziende internazionali come forma di marketing. Questi rappresentano spesso esempi di greenwashing, ovvero un approccio scarsamente etico ai mezzi di comunicazione che offre alle imprese e alle varie entità politiche la possibilità di nascondersi dietro ad immagini positive “verdi”, distogliendo l’attenzione dalle loro responsabilità nei confronti con l’ambiente. Nella mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Favini presenta un’opera su tela (Green is the color of money, 2007) che rappresenta una banconota da un dollaro americano con il claim del titolo scritto a caratteri cubitali. L’artista utilizza un simbolo del capitalismo contemporaneo (il font utilizzato dalle carte di credito American Express) per richiamare l’attenzione del pubblico sul potere strategico che le questioni ambientali oggi hanno conquistato sul mercato economico globalizzato. Il verde dello sfondo del dollaro è il risultato dell’accorpamento di claim e slogan pubblicitari, messaggi “green” che Favini ha raccolto dai giornali, dai cartelloni pubblicitari, da inviti, spot televisivi, magliette e striscioni. Riuniti, decontestualizzati, accostati come una serie di pixel, i testi risultano ancora più ambigui.
The real revolution is not to change the world
Analogo lavoro in mostra a Roma, The real revolution is not to change the world del 2007 presenta quattro immagini prese da archivi fotografici di paesaggi apparentemente incontaminati, in realtà in trasformazione o parzialmente compromessi dal riscaldamento globale, coperte da claim di “greenwashing” che creano un disturbo per la visione delle immagini, in realtà proprio quei claim hanno determinato le sorti negative di quei paesaggi.
BIOGRAFIA
Ettore Favini è 1974 nato a Cremona, dove vive e lavora.
Nel 1993/1997 si diploma in pittura Accademia Belle Arti di Brera Milano, prof. Alberto Garutti.
L’artista sensibile allo sviluppo sostenibile intreccia nel suo lavoro il tema della difesa dell’ambiente con quello della memoria del paesaggio, come fece per l’intervento che gli procurò nel 2006 il premio Artegiovane. Il lavoro di Favini si avvale di diversi materiali che spaziano dalla fotografia alla scultura. La sua riflessione verte principalmente su una concezione di tempo e ad un tentativo di coglierne un aspetto di infinito, seppur confrontandosi con le limitazioni materiali di questa aspirazione.
Gli interventi di Favini sono organici nel senso che non restano immutabili ma al contrario, cambiano nel tempo e nello spazio in cui si trovano a reagire.Senza alcuna modifica meccanica Favini interroga tempo, memoria e paesaggio.
Nel 2006 ha vinto il Premio Artegiovane “Torino e Milano incontrano l’Arte”, nel 2007 ha vinto il prestigioso premio New York alla Columbia University di New York , nel 2009 è stato finalista al Premio per gli Amici del Castello di Rivoli e nel 2012 sarà residente alla Civitella Ranieri Foundation.
Tra le principali esposizioni ricordiamo:
2011 “Paesaggio da bere”, Museo Riso, Palermo, 2010 “Premio Moroso”, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Monfalcone; “Walden Method”, MAR, Ravenna, “La Verde Utopia”, PAV, Torino; “Transeuropa Festival” Arcola Theatre, Londra; 2009 Italian Artist in New York, ISCP, New York; “Green Platform”, CCCS Strozzina, Firenze; Premio LUM, Bari, Teatro Margherita, Bari; The Buffer Zone, American Academy, Rome; 2008 Soft Cell: Space Dynamics in Italy, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Monfalcone; “Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse e perplessità”, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; 2007 “This is the time (and this is the record of the time)”, Spazio Blank, Torino; “Private View”, The Italian academy, New York.
Il suo lavoro è stato esposto ed è conservato in numerose collezioni private e pubbliche.