Il Mar Mediterraneo bagna ventuno Paesi di tre continenti, ciascuno dei quali ha stabilito le proprie acque territoriali, ossia l’area marina regolata secondo la giurisdizione del Paese costiero. Tuttavia, pochi Paesi dell’area mediterranea, oltre alle acque territoriali, hanno rivendicato anche una Zona Economica Esclusiva (ZEE), su cui avere diritto sovrano per lo sfruttamento di risorse naturali. Per questa ragione, nel Mediterraneo, l’area dell’Alto Mare (il mare aperto oltre le 200 miglia marine dalla costa che troviamo solitamente oltre la ZEE) è vicina alle coste più di qualsiasi altro mare o oceano del pianeta.
L’Alto Mare è tra le aree del pianeta che non sono sottoponibili alla sovranità di nessuno stato: sono res communes omnium, ossia risorse appartenenti all’umanità intera, utilizzabili, attraverso accordi tra stati, per l’attraversamento, per lo sfruttamento di risorse naturali o a fini di ricerca, ma rimangono territori inappropriabili, come dovrebbe essere la Terra tutta, e l’arte. Credo. Credo anche che l’Alto Mare abbia a che fare con la condizione dell’esilio, e penso a colui che, come l’Alto Mare, è senza stato.
Dalla nascita dello Stato nazione moderno in Europa, l’apolide resta un’eccezione per lo Stato nazionale che per i propri princìpi fondativi può dare protezione giuridica soltanto al cittadino. Il cittadino infatti è tale in virtù della propria appartenenza ad una nazione che si estende sopra un preciso territorio su cui lo Stato esercita la propria sovranità attraverso leggi che il cittadino per contratto è chiamato a rispettare.
Gli Stati nazionali in cui siamo abituati a vedere spartito il pianeta, da tempo ci sembrano strumenti che faticano a servire in modo adeguato le nostre democrazie. E a questo proposito la pandemia che sta colpendo la nostra specie da qualche mese, ci mostra un doppio scenario:
nelle stesse regioni del mondo in cui ha fatto apprezzare la presenza dello Stato come in Europa ad esempio, ha anche fatto circolare con più vigore la visione di una cittadinanza differente. Nello scenario biblico iniziale si è sentito parlare di cittadinanza universale, mentre il Portogallo ha da subito “trattato come cittadini i non cittadini” presenti sopra il proprio territorio. Ecco, io credo che sarebbe importante insistere su questo punto, per considerare l’idea di una cittadinanza, riconsegnata magari alle città, che non si fondi più sull’appartenenza territoriale ma sulla condizione stessa dell’esilio, dentro cui ogni abitante possa riconoscersi, risiedendo da straniero, come ospite di questo pianeta.
(Margherita Moscardini, Tutti i Diritti Riservati).
Opera: Ettore Favini, Cammed, 2020
Margherita Moscardini classe 1981, ha studiato Antropologia Culturale e frequentato il XIV CSAV, Fondazione Antonio Ratti di Como con Yona Friedman nel 2008.
La sua ricerca si articola sulle relazioni tra processi di trasformazioni di ordine urbano, sociale e naturale. Interessata ad aree abbandonate e in demolizione, la sua pratica privilegia il processo e progetti a lungo termine, considerando il contesto come un mezzo: l’architettura, il paesaggio (inteso come le caratteristiche geo-morfologiche di un’area) su cui il costruito è stato progettato, e come i piani urbanistici condizionano i comportamenti delle comunità locali.