Premesso che trovo utile ed encomiabile ogni iniziativa editoriale e di conoscenza della figura di Carla Lonzi, assumo in questa occasione il ruolo antipatico di indicare i limiti di un personaggio eccezionale come è stata. Lo faccio da suo grande estimatore: ne ho scritto e ho ripetutamente affrontato il suo lavoro in vari corsi insieme a studenti. Mettere in atto un’approfondita considerazione verso ciò che ha fatto, rispettosa e critica insieme, è il modo migliore per tenere vivo l’interesse nei suoi confronti, soprattutto da parte di giovani, che spesso ne rimangono affascinati. La necessità di uno studio critico, che superi la soglia dell’ammirazione, vale per molti, per tutti i personaggi significativi, anche perché abbiamo bisogno di arricchimenti di conoscenza fondati sulla loro opera, a partire dal loro lavoro, non di nuove forme di idolatria.
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Semplificando un po’, il grande limite di Carla Lonzi può essere ricondotto a una parola: elitismo.
Non mi interessa l’identificazione della qualità con la quantità, dell’interesse con i numeri. Per esempio, sospetto molto di chi vuole proporre sempre qualcosa di immediato, di facile, o di chi si pone innanzitutto l’obiettivo di persuadere a tutti i costi. Tuttavia l’arte e il pensiero possono essere elitari per necessità, non per scelta. Quando l’affermazione di identità e la rivendicazione di particolarità si irrigidiscono nella presa di distanza e nell’astensione, si perdono tante occasioni di arricchimento, di dialogo fra soggetti. Uso deliberatamente questi ultimi due termini perché sono centrali nel pensiero di Carla Lonzi. Chi non si offre a un interlocutore veramente altro da sé, estraneo, al limite opposto al proprio circolo, previene fraintendimenti, critiche, riduzioni, afferma con rigore una propria integrità ma rivela anche una coerenza limitata al proprio mondo. Si tratta né più né meno di distinzione. La distinzione, legittima, è un modo aristocratico di rimarcare differenze. E’ un potersi permettere una posizione, non la conquista di una posizione. Una diversità affermata ad oltranza separa e basta, perché non si fonda su quanto vi è di comune ed aggregante.
Carla Lonzi ha interrotto il dialogo con i “suoi” artisti in un momento post ’68, primi anni ’70, in cui il senso dell’opera veniva messo in discussione anche al di là del confronto a due. Vari artisti, soggetti altri rispetto al circuito lonziano ma non irrilevanti, hanno fatto scelte importanti, si sono messi molto in discussione e politicamente in gioco: per esempio, in modi diversi, Piero Gilardi, Gianni Emilio Simonetti, Vincenzo Agnetti.
Carla Lonzi, in quanto donna, ha messo sé stessa al centro: l’autocoscienza viene prima di tutto. Ma ha trascurato il senso e il valore dell’emancipazione, possibilità estesa per moltitudini di donne, numerosissime persone poco attrezzate in quanto a istruzione e censo. La sua è un’originale versione del Femminismo, in ambito italiano e internazionale; nello stesso tempo si può considerare una propaggine ultima di un’attitudine da lei trovata nelle Preziose, un microcosmo proto-femminista, vissuto da donne appartenenti a una ristretta cerchia, parte di un insieme fatto di borghesia che iniziava ad emergere e di nobiltà che iniziava a decadere.
Il giudizio, riconducibile all’autorità, associata alla figura del padre, al potere maschile, è qualcosa a cui Carla Lonzi si è giustamente sottratta. Tuttavia, lei per prima, con purezza ha giudicato, ha selezionato per includere o per escludere, ha messo in atto come delle abiure, in varie fasi della propria esistenza, nei confronti di varie persone, in primis donne.
Giulio Ciavoliello