Soltanto tre mesi fa alla Triennale di Milano Valerio Carrocci dell’associazione Piccolo Cinema America ha spiegato ai partecipanti del seminario pubblico Seminare Cultura. I beni comuni e le pratiche creative (organizzata da Connecting Cultures, in collaborazione con la Città metropolitana di Milano), il loro progetto di portare il cinema nelle piazze di Roma, teso a “superare il dualismo di centro e periferia.”
Nelle scorse settimane a Carrocci sono stati lanciati dei brutali segnali d’allarme attraverso due aggressioni violente a persone che indossavano la maglietta del Piccolo Cinema America e alla sua ex fidanzata mentre rincasava una sera da sola. Aggressioni volte ad intimidire gli attivisti culturali dell’associazione e il loro entourage, probabilmente per limitare se non ostacolare il successo delle loro serate, colpire soprattutto un’attività di inclusione sociale nei luoghi più difficili della capitale abbandonati dalle istituzioni, consegnati alle organizzazioni criminali, allo spaccio e al degrado.
Ma cos’è esattamente l’attività “di contrasto” di Piccolo Cinema America e perché è stata presa di mira da persone con precedenti penali e ormai identificate dalla polizia come frequentatori di Casa Pound?
Fondata da una ventina di giovani, l’associazione Piccolo America ha cominciato con una programmazione cinematografica di qualità in piazza San Cosimato a Trastevere. Un’attività che nella stagione del 2017 aveva già raggiunto oltre 80mila persone di tutte le età e provenienze sociali, “di destra e di sinistra” con una programmazione di film, retrospettive, classici da tutto il mondo da Bertolucci a Alfonso Cuaron, dai Manetti Bros a Matteo Garrone, Pedro Almodovar, Dario Argento, De Sica; da Star Wars, a Un Sacco Bello di Verdone, senza snobbare i classici di Walt Disney; maratone notturne con presenza di registi e attori: una proposta intelligente e di chiaro gradimento che neanche il Comune ha compreso realmente. Non a caso dopo tre anni, la giunta M5S invece di agevolare l’attività dell’associazione ha ritirato il permesso, deciso a costringerla a partecipare a un bando, in seguito andato deserto.
L’associazione ha risposto raddoppiando l’offerta in tre luoghi diversi: sempre a Trastevere, questa volta nel cortile del liceo Kennedy, e due nuove locazioni a Tor Sapienza nel Parco del Casale della Cervelletta e a Ostia al Porto turistico di Roma, sequestrato alla criminalità organizzata, oggi restituita ai cittadini.
Il programma di questa estate prevede 210 serate gratuite per un intenso tre mesi dal 1 giugno all’8 settembre, preparati lungamente con tanto lavoro burocratico, corsi sulla sicurezza, richieste di permessi, lettere d’invito e organizzazione sul campo durante il periodo invernale.
L’obiettivo primario, secondo Carrocci, non è certo quello di togliere pubblico pagante alle sale, ma di costruire un nuovo pubblico di appassionati nell’unico modo possibile, offrendo loro una fruizione di qualità accessibile a tutti. Ma il progetto va molto oltre quello di una seppur lodevole intenzione di acculturamento o educazione al cinema. I giovani manager del Piccolo America in gran parte nati in periferia hanno voluto tornarci per riportare nei luoghi che conoscono bene, privi di ogni stimolo, e dai quali è necessario “macinare chilometri” per andare a studiare o trovare una libreria. La scelta è dunque quella di portare nella periferia un barlume di speranza per una vita culturale condivisa, una forma di cura delle persone e del territorio, realizzata con la passione di chi vuole offrire un autentico scambio culturale o éducation sentimentale: rendere realmente più sicure e vivibili quelle zone off limits dove il peggior male non è nemmeno la povertà, ma l’abbandono.
Le aggressioni compiute sulle persone fisiche per fermare un progetto culturale di inclusione la dice lunga sul livello di degrado esistente oggi nei territori invisibili delle città allargate.
Ma la volontà di politicizzare tale dibattito secondo il solito copione di destra e sinistra, di violenze speculari, vuole nascondere l’elemento più insidioso di questa vicenda e cioè il controllo incontestato e assai diffuso del territorio da parte non delle forze dell’ordine, ma della criminalità organizzata e i suoi accoliti.
Evidentemente una proposta culturale di qualità viene vista come affronto da parte di realtà eversive che mirano a determinare e guidare uno scontro che le istituzioni sembrano non riuscire o non voler vedere. Forse la vera e reale frontiera della democrazia oggi in Italia passa proprio dalle periferie dove si sta già giocando il nostro futuro e anche quella dell’Europa.
Anna Detheridge, Presidente di Connecting Cultures
L’articolo è pubblicato nel numero di Luglio del mensile Vita