L’attività di Connecting Cultures si è da sempre distinta per la proposta di progetti interculturali alimentati dalla contaminazione di linguaggi diversi.
Come già per gli Incontri interculturali, anche Sartoria Migrante offre a persone provenienti da diverse aree geografiche e quindi portatori di diverse esperienze, la possibilità di misurarsi con un’espressione della cultura contemporanea – in questo caso il design – collaborando con il designer alla realizzazione di oggetti di alto artigianato.
Allo stesso tempo Sartoria Migrante si inserisce nel solco dell’attività di esplorazione di Connecting Cultures negli ambiti della sostenibilità nella cultura e in particolare è in sinergia con il progetto Out of Fashion che da cinque anni rappresenta una piattaforma di studio e analisi a 360 gradi sulla sostenibilità nella moda, dalle modalità di produzione, all’etica, agli impatti ambientali.
Con Sartoria Migrante abbiamo voluto offrire alle dieci persone coinvolte nel progetto la possibilità di esprimere un sapere legato alla cultura dei lori paesi di provenienza quindi abbiamo selezionato artigiani, sarti, ricamatori – comunque persone con abilità e conoscenze del tessile e delle sue lavorazioni – che potessero interagire e arricchirsi tra loro anche attraverso l’esperienza del lavoro collettivo.
Nessuno di noi aveva un’idea predefinita di quale sarebbe stato il risultato tra l’incontro di culture e saper fare tanto differenti e per questo la scelta del designer è caduta su Denise Bonapace, una professionista dotata non solo di una forte esperienza nel settore del tessile e nell’utilizzo di materiali di recupero, ma di una sensibilità per un tipo di estetica che non fosse finalizzata al bell’oggetto di design prodotto da un brand e che avesse l’immaginazione e la capacità di intuire la bellezza in un oggetto che può essere recuperato e trasformato, un oggetto che potesse rivivere assumendo un’estetica propria e sorprendente.
La progettazione di Sartoria Migrante è stata complessa ed ha coinvolto una comunità variegata di soggetti e persone che sono stati determinanti per la sua realizzazione. Abbiamo costruito un percorso di sostenibilità iniziato con una open call diffusa sui social per la raccolta di vecchie sedie che potessero essere riparate e rinnovate attraverso l’inserimento di altri elementi strutturali, eseguiti dall’Associazione Bottega di Quartiere con la falegnameria Terra Del Fuoco mentre per i tessuti necessari alla realizzazione dei nuovi oggetti di design abbiamo coinvolto Manteco e COM.I.STRA, due aziende di Prato che realizzano meravigliosi prodotti attraverso innovative lavorazioni di riciclo e che ci hanno generosamente offerto i tessuti selezionati dalla designer.
Il progetto è ancora in fase di sviluppo, l’aspetto più entusiasmante è che sta assumendo una sua identità e una crescita interna che va in direzioni sorprendenti.
Durante l’attività di sartoria, gli artigiani di diverse età, sesso e provenienza hanno lavorato in gruppo in maniera molto spontanea, scambiandosi informazioni e portando nel laboratorio strumenti di lavoro a noi sconosciuti, come gli aghi curvi di un sarto senegalese o proponendo lavorazioni particolari come le arricciature applicate da una sarta del Marocco.
Ognuna delle sedie ha preso una propria vita, tant’è che gli artigiani dopo lo scambio di pareri e tecniche, si sono identificati nel proprio manufatto, e hanno aderito alla richiesta della designer di dare un proprio nome alle sedie realizzate. Le sedie di Please Sit hanno un’identità espressa da un passaporto – un documento di particolare contenuto valoriale in un progetto rivolto a persone migranti – che ne racconta la storia: la provenienza, la lavorazione, i materiali utilizzati, il designer, l’artigiano che lo ha realizzato.
Spero che Sartoria Migrante possa ripetersi, anche se sono convinta che ognuno dei progetti curati dalla nostra associazione sia un’esperienza a sé e che questa unicità sia tra i valori più distintivi della nostra attività.
Sartoria Migrante è un progetto unico, attuato da una determinata comunità di persone, in un momento contingente, in quel definito rapporto di scambio.
In questo tipo di progettualità noi non rivendichiamo un metodo – sarebbe presuntuoso e falso – ma rivendichiamo una modalità di agire con le persone – e insieme alle persone – che porta tutti a vivere un’esperienza di crescita e di scoperta.
Nella nostra lunga esperienza di curatori di progetti d’arte partecipativa, sappiamo che non sempre è possibile ottenere i risultati positivi di Sartoria Migrante. A volte non succede così, a volte possono arrivare intoppi e verificarsi incomprensioni ma tutto questo si può superare con una modalità e un approccio, con il dialogo che permette alle persone di sentirsi a proprio agio.
Connecting Cultures è un’associazione culturale e Sartoria Migrante non è definibile un progetto sociale: sebbene promuova i valori dell’inclusione il suo ambito è quello della cultura contemporanea. Abbiamo individuato le persone in base alle loro capacità artigianale, scegliendo donne e uomini di culture e di età diverse con l’obiettivo di realizzare un progetto comune che portasse a un risultato di assoluta qualità estetica.
Sartoria Migrante non si è risolta in una modalità di assistenzialismo sociale e quando abbiamo presentato il progetto ai diversi Sprar e associazioni che si occupano di accoglienza, abbiamo trovato in loro piena comprensione e un sostegno entusiasta perché offre alle persone di mostrare e di valorizzare competenze e professionalità che rischiano di restare invisibili.
Anna Detheridge
Foto di Elena Mocchetti